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La luna su Torino - Recensione

Tre personaggi in cerca di se stessi e una città, Torino, ad ospitarne le avventure: Davide Ferrario rispolvera la formula di Dopo mezzanotte e riesce ancora a stupire con semplicità

Tre persone e una città: questi sono gli ingredienti che Davide Ferrario riprende dal suo Dopo mezzanotte per farne le basi del suo ritorno al cinema di fiction dopo Tutta colpa di Giuda, uscito ormai 4 anni fa.
Le tre persone sono Ugo (Walter Leonardi), Maria (Manuela Parodi) e Dario (Eugenio Franceschini), che condividono lo stesso tetto, da amici e coinquilini, e la stessa sensazione che ad ogni passo che cercano di fare in avanti è come se gli venisse a mancare la terra sotto ai piedi. La città è ancora Torino, che stavolta non è connotata tanto come la città della notte, della Mole, del Cinema come ritratto fantasioso di una realtà più inverosimile del quotidiano (come era in Dopo mezzanotte), ma come il posto che sulla griglia geografica sta a metà strada tra il Polo Nord e l’Equatore, sulla latitudine del 45° parallelo, che la accomuna a posti tanto distanti tra di loro come la Mongolia e la Pianura Padana.
Un cinema leggero, semplice, diretto e popolare (nel senso genuino del termine, che forse tra i festival, il gossip, e la polemica giornalistica soprattutto nostrana, spesso si perde di vista), quello di Ferrario e per riflesso quello che si annusa nei fotogrammi de La luna su Torino: un cinema innamorato dei suoi personaggi, dei suoi luoghi, delle sue parole. I suoi personaggi, un trio di romantici difettosi (ognuno a suo modo) alla ricerca di una via tra l’entusiasmo di gomma proprio della televisione e il cupo pessimismo depressivo che ci raccontano le storie del cinema italiano 'd’autore'; i suoi luoghi, ancora una volta imperniati sulle geometrie urbane e i notturni del capoluogo piemontese, in una versione contemporanea e post-olimpiadi, le sue parole, che poi sono quelle del Leopardi delle Operette Morali, scordate dai tempi delle scuole ma ancora piuttosto capaci di interpretare l’attualità.
Un cinema 'simpatico', non esente da qualche difetto di autoreferenzialità e ripetitività, ma nemmeno privo di momenti di evasione e spasso, declinato in una bella commedia romantica capace di attingere senza paura dal cesto degli stereotipi della vita di tutti i giorni e dei nostri tempi, e non solo di schivarne i più ingannevoli, ma anche di valorizzarne quelli che riflettono davvero lo spirito dei tempi, anche senza sovrastrutture psico-socio-filosofiche, come la perenne voglia di stare altrove che fa parte della gioventù post anni ’80.

Il tutto strizzato dentro una storia di nostalgia ma anche di speranza, in bilico tra il Nord e il Sud del mondo come sul 45° parallelo effettivamente siamo un po’ tutti.

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