Knife in the Clear Water - Recensione
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Asia
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La regione Nord Occidentale cinese del Ningxia è quasi totalmente abitata da cinesi dell’etnia hui di religione musulmana ed è per questo considerata regione a statuto speciale. Attraversata dal Fiume Giallo e prevalentemente montuosa, è una zona dall’apparenza arida e fredda, dominata dalle montagne e dagli altopiani dove si pratica l’agricoltura e la pastorizia. Il film del regista esordiente Wang Xuebo, che fu il produttore di Tharlo di Pema Tseden, a sua volta qui produttore insieme a Zhang Meng e Derek Yee, è ambientato in questa regione, in una piccola comunità di contadini e pastori.
Alla morte della moglie del patriarca Ma Zishan, la famiglia decide che per onorarla come merita, alla fine del periodo di 40 giorni di lutto previsti dalla tradizione, bisogna sacrificare il vecchio bue di famiglia, lavoratore indefesso da tanti anni nei campi. Il vecchio Ma, pur volendo onorare la moglie, accetta obtorto collo la decisione della famiglia, perché vede nel vecchio animale un suo compagno di fatica fedele. Più il giorno della cerimonia si avvicina, più il vecchio Ma vede il bue con occhio compassionevole e cerca conforto anche nei consigli dell’Imam locale.
Secondo un'antica leggenda, l’animale poco prima di esser sacrificato vede la lama del coltello riflessa nell’acqua e quindi smette di mangiare e bere per giungere purificato al rito sacrificale: ed infatti il vecchio bue, a confermare la leggenda, all’approssimarsi del giorno fatidico rinuncia al cibo e all’acqua. Un’ultima passeggiata insieme al suo vecchio amico nel quale Ma vede riflessa anche la sua vita e la sua prossima fine sembra donare al vecchio contadino una dolorosa quiete interiore alimentata dalla visita alla tomba della moglie.
Non sono molti i lavori che ci raccontano qualcosa dell'etnia hui, nonostante in Cina sia la seconda dopo quella predominante han. Knife in the Clear Water, prima ancora che un racconto sul tramonto della vita e sulla necessità di rispettare riti e tradizioni, è un ritratto antropologico ed etnologico di questa etnia dalla tenacia indomabile e che vive strappando ad una terra per molti aspetti inospitale i suoi prodotti, seguendo il ciclo delle stagioni, la raccolta dell’acqua e la caduta della neve. Questo aspetto meno cinematografico è in effetti uno dei pregi maggiori di Knife in the Clear Water, quasi un documentario che ci racconta la vita di una comunità che, nonostante i colossali programmi di ricollocazione da parte delle autorità, cerca di mantenere ben ancorate le proprie radici.
Per raccontare questa storia semplice e minimalista sul tormento silenzioso di un vecchio, Wang sceglie uno stile scarno contraddistinto da un ritmo lento, da scarsi e secchi dialoghi, da un ermetismo cui si associa una cupa impassibilità dei volti, da riprese che, soprattutto negli interni bui e ravvivati solo dalle fioche luci delle candele, ricercano intricati giochi di prospettive geometriche impresse su piani fissi con movimenti praticamente nulli, e da riprese in esterni che alimentano il timore ed il disagio per una terra ed una natura scarna e spietata, che sa però offrire immagini bellissime.
La contrapposizione tra la figura di Ma e quella del vecchio bue sembra voler creare un binomio di solidarietà: l’animale scelto per il sacrificio che si piega all’antica leggenda e l’uomo solo, indifeso che teme di turbare la sua coscienza e la sua fede proprio con l’avvicinarsi della sua fine. Su questa base Wang intesse un racconto che ha di certo un rigore stilistico e narrativo considerevole, anche se l’estremo ermetismo ed il minimalismo ad oltranza, anche emozionale, troncano un po’ quello che avrebbe potuto essere anche uno studio psicologico più approfondito dei personaggi. Per tale motivo, ecco che il film vive soprattutto su una tensione emotiva veicolata più dalle immagini, dai giochi di luce, dai silenzi e dagli sguardi che nascono dai volti segnati che dallo sviluppo narrativo.
Knife in the Clear Water, come spesso accade per le opere prime costruite anche con una certa ambizione, è lavoro non certo perfetto che presenta alcuni difetti, seppur non colossali, ma al contempo lascia trasparire chiarissima le capacità del regista, soprattutto nella creazione dell’immagine, e un tocco encomiabile di personalità e di stile capaci di presentarci comunque un lavoro degno di un autore che merita attenzione per il futuro.
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Massimo Volpe
"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".